6. SETE ARDENTE DI DIO, SETE ARDENTE DI SANTITÀ

Un venerdì mattina, in una Cappella di San Paolo, in Brasile, mentre ero in adorazione davanti al Santissimo Sacramento, la parola “santo” continuava a venirmi in mente. Non capivo che cosa stesse succedendo e che cosa fare, sebbene il Signore avesse messo nel mio cuore il desiderio di diventare santo da quando risalgono i miei ricordi, attraverso la mia amata madre, che anche voleva essere santa. So anche che ne sono ancora molto lontano, come chi vuole raggiungere la vetta del Monte Everest e si trova ancora alla base. Non potevo in ogni modo ignorare la realtà e così cominciai a riflettere sulla parola HOLY (SANTO) e a considerare che cosa potevano significare le quattro lettere di quella parola.

H – Humility (Umiltà)

Umiltà – Mi resi conto che, se voglio essere santo, devo cominciare dall’umiltà. Esaminai attentamente la vita dei santi che conoscevo e non ne trovai nessuno che fosse stato orgoglioso. Ciò che invece li rese santi fu che credettero e furono convinti che senza Dio non potevano diventare santi, non potevano compiere l’opera di Dio e vivere una vita di santità.

Cos’è l’umiltà? La parola “humus” in latino significa terreno, terra. La spiegazione di S. Tommaso d’Aquino sull’umiltà è importante. Egli afferma che l’umiltà è credere che tutto ciò che è buono in me viene da Dio. Ciò comprende anche il luogo di nascita, perché non l’ho scelto, ma me lo ha donato il buon Dio. Non ho scelto i miei genitori, ma sono un dono di Dio. Dovrei quindi ringraziare Dio e pregare per loro più assiduamente e ferventemente soprattutto se non sono in buoni rapporti con loro. A poco a poco mi rendo conto che tutto e tutti sono doni di Dio e devo diventare sempre più grato a Dio.

Dobbiamo riconoscere che tutti i talenti che abbiamo, come pure l’educazione che abbiamo ricevuto, sono tutti doni di Dio e devono essere usati per gli altri ed essere condivisi. L’umiltà non vuol dire negare la verità, ma rendere manifesta la santità di Dio attraverso i doni ricevuti.

Santa Teresa di Calcutta soleva affermare che è facile capire la grandezza di Dio, ma è più difficile capire l’umiltà di Dio. Come poté un Dio, che è impenetrabile, diventare uomo, nascere da donna, nascere sotto la legge della natura e accettare tutte le vicissitudini di questa vita terrena? Arrivò persino a dirci di imparare da Lui, che è mite e umile di cuore (cfr Mt 11,30).

San Tommaso d’Aquino afferma che l’umiltà si fonda su due pilastri: la verità e la giustizia. La verità, dice, è riconoscere che tutto ciò che è buono in noi viene da Dio; la giustizia significa quindi dare tutto l’onore e la gloria a Dio. Significa dare a Cesare ciò che appartiene a Cesare e dare a Dio ciò che è di Dio; in altre parole tutta la gloria e l’onore appartengono a Dio. Santa Teresa di Calcutta ne è un esempio: nulla le fece credere che i molti riconoscimenti e dottorati “ad honorem”, che ammontano a settecento, erano dovuti alle sue abilità, alla sua intelligenza e capacità, al suo potere. Era ben consapevole che era Lui e non lei, che gli attestati erano di Dio e non suoi. Tutto l’onore e la gloria andavano a Dio, compreso l’importante premio Nobel per la Pace del 10 dicembre 1979. Accettava inoltre tutti i riconoscimenti e gli onori nel nome dei poveri, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

L’umiltà è vitale nella vita di chi aspira alla santità, che non è da considerare il lusso di pochi, ma il semplice dovere di ciascuno di noi. “Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2).

  1. Agostino è un maestro nello spiegare l’umiltà. Considerate la testimonianza del seguente testo: “…non si arriva all’unità senza umiltà: non c’è amore senza l’apertura di un’umile pazienza. Dove regna l’umiltà, qui c’è amore”.

Per S. Agostino l’umiltà non è una delle tante virtù; è la virtù base, nel vero senso della parola. In questo senso, l’umiltà è terreno fertile per la carità. S. Agostino dice: “Vorrei che vi assoggettaste con amore a Cristo. Non cercate altre vie per arrivare alla verità già tracciata da chi, come Dio, conosce l’incertezza dei nostri passi. Questa via è in primo luogo l’umiltà, in secondo luogo l’umiltà, in terzo luogo l’umiltà…Tutte le volte che mi chiedete le regole di condotta della vita cristiana, non trovo altra risposta che l’umiltà” (Lettera 118, 3, 22).

E’ chiaro che il grande nemico e l’avversario dell’umiltà è l’orgoglio. Tutte le qualità positive dell’umiltà si rispecchiano in modo negativo nell’orgoglio. S. Agostino scrive ancora: “Fin tanto che siamo liberi dalla superbia, siamo pieni d’amore”. S. Agostino osa persino affermare che “L’odio di Dio per l’orgoglio è così forte che preferirebbe vedere umiltà nelle cattive azioni piuttosto che orgoglio nelle buone azioni” (Sermone sul Salmo 93, 15).

Nella vita religiosa, l’amore e l’umiltà sono determinanti, e senza di essi la vita religiosa non ha senso. S. Agostino dichiara che è meglio possedere una fortuna al di fuori della comunità religiosa che vivere la vita religiosa con orgoglio! Parlando del celibato dice: “E’ meglio essere umili sposati che celibi orgogliosi” (Sulla Santa Verginità, 51-52).

Quando entrai in seminario, dovevamo meditare per sessanta giorni sulla necessità e sull’importanza della virtù dell’umiltà, sulle ragioni per cui dovevamo essere umili. Alla fine dei due mesi di meditazione sull’umiltà, sapevo come essere umile… ed ero diventato orgoglioso della mia umiltà. Non possiamo mai essere abbastanza umili da poter dire: “Ora sono davvero una persona umile”. Più umili siamo, più santi diventiamo. Senza umiltà nessuno di noi potrà mai diventare santo.

O – Obedience (Obbedienza)

Obbedienza – Come per l’umiltà, anche qui riflettei sulle vite dei santi canonizzati che conoscevo e non riuscii a trovare alcun santo canonizzato, che fosse stato disobbediente. Conoscevo S. Pio da Pietrelcina, uno dei santi dei nostri tempi, per esempio, al quale fu proibito di celebrare la santa Messa in pubblico per due anni e di confessare, soprattutto le donne, per quattro anni. Cosa fece S. Pio da Pietrelcina? Non aprì bocca contro i suoi Superiori, ma semplicemente obbedì loro. Sapeva che i Superiori potevano sbagliare, ma sapeva anche che lui non poteva sbagliare nell’obbedire. Il dono delle cinque sante piaghe che Gesù gli aveva concesso furono un privilegio e un peso, perché il diavolo cercò di usarle contro la volontà di Dio, facendole diventare un ostacolo. S. Pio, al contrario, divenne sempre più umile e obbediente, perché vedeva nei suoi Superiori il piano di Dio, come Gesù che vide in Pilato, che lo condannava a morte, la volontà del Padre.

Nell’autobiografia di S. Margherita Maria Alacoque leggiamo che Gesù le intima di obbedire ai Superiori, anche quando la Superiora era reticente ad accettare facilmente ciò che Gesù le suggeriva. Gesù si espresse alla santa: “Ascolta, piccola mia, satana è furioso e cerca di distruggerti, ma fino a quando obbedirai alla Superiora, non avrà alcun potere su di te”.

Cosa sarebbe accaduto all’Incarnazione se Maria avesse rifiutato di ascoltare l’angelo Gabriele? Invece, senza sapere cosa le sarebbe successo, disse in pura fede: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). S. Giuseppe fu molto turbato e voleva licenziare Maria in segreto quando seppe che era incinta. Avrebbe potuto abbandonare Maria e sarebbe stata lapidata a morte. Giuseppe invece, che era giusto e onesto, accettò la volontà di Dio, rivelata a lui in sogno: “Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt 1,24).

L’esempio e le parole di Gesù sono molto chiare: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4,34). “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 7,7-9).  Nessuno si salverà senza l’obbedienza alla volontà di Dio e ai suoi progetti. La santità richiede l’obbedienza di Gesù: pronta, gioiosa, senza domande. Gesù disse a Madre Teresa: “Non temere…obbedisci soltanto, obbedisci gioiosamente e prontamente, senza fare domande, obbedisci soltanto. Non ti abbandonerò mai, se obbedisci” 

Cosa è dunque l’obbedienza? “L’obbedienza è la sottomissione libera e di tutto cuore alla volontà e al piano di Dio attraverso una serie di intermediari: persone, eventi, autorità umane, regole scritte, usi e costumi. Obbedire è dire “sì” all’ordine sacro dell’esistenza stabilito da Dio in questo mondo” (Costituzioni dei Missionari della Carità Contemplativi).

Basandosi su questo motivo ci possono essere due modi di obbedire ai nostri legittimi Superiori:

  • obbedienza servile, che si basa sul timore;
  • obbedienza docile, che si basa sull’amore e il rispetto per la persona a cui obbediamo. E’ questa l’obbedienza che indica Gesù. Gesù disse a Madre Teresa: “Voglio suore obbedienti, rivestite dell’obbedienza della Croce”.

L – Love (Amore)

Amore – La terza lettera della parola “HOLY” è L ed è composta di una linea orizzontale e una verticale. Mi sono reso conto che le due linee sono i due comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo. Ci è comandato di amare Dio immeritatamente e incondizionatamente, e il prossimo come se stessi. “Ascolta, Israele …tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze…” (Dt 6,4-5). Gesù unisce questo comandamento all’altro, altrettanto importante, dell’amore del prossimo come se stesso, come lo troviamo nel libro del Levitico: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18). Questo duplice amore non solo è centrale nella vita dell’uomo, ma gli è anche naturale.

Ciò che ci differenzia dalle altre creature è la capacità di amare e di essere amati, un tipo di amore che non si può sostituire e che è comune a tutti gli essere umani: siano essi sani o malati, ricchi o poveri, cristiani o non cristiani, bianchi, neri o mori, di qualsiasi colore, di qualsiasi cultura e nazionalità. Siano essi assai colti o che conducano una vita primitiva, l’elemento essenziale e comune a tutti è questa duplice capacità d’amore. La misura di una persona consiste nella sua capacità di amare e essere amata. La più alta forma di cultura, il più alto grado di civiltà consiste nella cultura e nella civiltà dell’amore.

La nostra vita terrena, dalla sua concezione alla nascita fino alla rinascita in cielo per la vita eterna, non solo dipende, ma si concentra su questa realtà: su questo duplice amore di Dio e del prossimo. Questi due tipi di amore sono come i lati della stessa medaglia, inseparabili tra loro. L’uccello non può volare con una sola ala, per quanto forte. Ogni uccello deve avere due ali, forti e bilanciate. L’ala del comandamento dell’amore di Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta l’anima e con tutte le forze, e l’altra ala del comandamento, altrettanto importante, dell’amore del prossimo come se stessi, dovrebbero bilanciarsi armoniosamente nella vita quotidiana, anche quando abbiamo molte cose da fare.

Santa Teresa di Calcutta pregava molte ore al giorno, partecipava alla celebrazione eucaristica, riceveva la santa Comunione ogni giorno e poi, con Gesù, andava in fretta, a servire il Signore nelle sembianze sofferenti dei più poveri tra i poveri, degli ammalati e dei moribondi. “I santi – pensiamo a Santa Teresa di Calcutta”, scrive Papa Benedetto XVI, nella sua prima Lettera enciclica “Deus Caritas est”, “hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro con il Signore eucaristico e, reciprocamente questo incontro ha acquistato il suo realismo e la sua profondità proprio nel loro servizio agli altri. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell’amore proveniente da Dio che ci ha amati per primo…L’amore cresce attraverso l’amore. L’amore è ‘divino’, perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia ‘tutto in tutti’ (1 Cor 15,28)” (18).

L’amore non invecchia mai, l’amore è eterno. L’amore non rinuncia mai ad amare; l’amore non si stanca mai di amare anche chi, umanamente parlando, io non gradisco o che forse neanche conosco. L’amore raggiunge tutti, abbraccia tutti, confida in tutti, perdona tutti. L’amore non rimugina sulle offese del passato, ma ricorda il passato con gratitudine e con ricordi purificati.

Alla scuola dell’amore s’impara ad amare amando. L’amore supera gli oceani, scala le montagne, non si lamenta, non ha pregiudizi, barriere o confini. L’amore non aspetta. Alla scuola dell’amore s’impara ad andare al di là delle emozioni superficiali; l’amore rompe i muri costruiti dagli uomini, come il muro di Berlino, elimina le divisioni e cementa gli uni agli altri. Alla scuola dell’amore s’impara a passare da un amore affettivo ad un amore effettivo, da un amore umano all’amore di Gesù.

Ciò accade nella preghiera e attraverso la preghiera, il sacrificio e le opere di misericordia. L’amore entra nel nostro essere attraverso la preghiera ed esce da noi come carità.

L’amore porta necessariamente a soffrire. La sofferenza è quindi l’espressione naturale, necessaria e spontanea dell’amore. Pensiamo, ad esempio ad una madre, a quanto deve soffrire dal concepimento alla nascita di un bambino, fino a quando il bambino sia più o meno indipendente. La madre non pensa ai sacrifici e non va a raccontare a tutti i disagi e le difficoltà che incontra per dare alla luce il bambino, per educarlo, per renderlo indipendente. Tutti hanno sperimentato l’amore e le cure amorevoli di una madre. Se amiamo sinceramente una persona, non badiamo alle difficoltà e alle privazioni.

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Gesù a sua volta ci ha amato fino alla fine. (cfr Gv 13,1) “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Questo è amore senza limiti e senza badare a quanto costa.

Potrei continuare a scrivere sull’amore, che ci fa diventare ciò che siamo e ciò che dobbiamo essere. In questo contesto può essere molto utile studiare attentamente la prima Lettera enciclica sull’amore di Papa Benedetto XVI, “Deus Caritas est”, “Dio è Amore”, che significa che, con Dio e in Dio, posso continuare ad amare e a vivere nell’amore, a crescere nell’amore e ad essere per gli altri l’amore di Dio, la sua presenza e la sua compassione. I santi, infatti, sono diventati l’amore di Dio per i poveri, per gli ammalati, per i lebbrosi, per i moribondi. Oggi il Dio invisibile diventa visibile attraverso le opere d’amore e di carità. “Dove c’è carità e amore, lì c’è Dio”. “Se vedi la Carità, vedi la Trinità” (S. Agostino).

Mi rendo conto che è più facile scrivere sull’amore e sulla carità che vivere una vita d’amore e praticare la carità. Leggiamo e meditiamo la prima Lettera di S. Paolo ai Corinti (1 Cor 13,1-13).

Y – Yearning (Desiderio ardente)

Desiderio ardente – Il desiderio ardente è vitale per chi aspira alle altezze della santità. Questa parola s’identifica con “sete”, “brama”, “desiderio”. Non ha molta importanza la parola che si usa per esprimere la stessa realtà, purché si abbia un ardente desiderio di Dio e una sete di santità. “Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5,6).

Il desiderio ardente esprime due elementi essenziali nel cammino di santità:

  • la preghiera, come desiderio ardente del cuore umano per Dio;
  • il desiderio ardente di santità.

La preghiera come desiderio ardente. Diversi salmi esprimono questa realtà del cuore umano per Dio. Nel salmo 42, per esempio, il salmista esprime il suo profondo desiderio di Dio nella preghiera. Così prega e con lui la Chiesa vuole che si preghi:

“Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio” (Sal 42,1).

Il salmo 63 è un altro esempio: chi può veramente estinguere la sete insaziabile per Dio? Non solo l’anima ma tutto l’essere anela a Dio:

“O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,

di te ha sete l’anima mia,

a te anela la mia carne,

come terra deserta, arida, senz’acqua” (Sal 63,1).

Non fa meraviglia che il salmo 63 è il primo salmo delle Lodi di ogni solennità e festività. Tutti i santi nella vita terrena desiderarono Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta l’anima e con tutte le forze, anche quando la loro anima passò attraverso l’oscurità, e sperimentarono terribili solitudini e rifiuti. Santa Teresa M.C. scrive

“Sono stata sul punto di dire “no”. E’ stato molto difficile. Quel terribile desiderio continua a crescere e sento come se un giorno qualcosa si dovesse spezzare dentro di me, e poi l’oscurità, la solitudine, il sentirsi terribilmente sola. Il cielo è completamente chiuso, quell’amore per tutti e per tutto se n’è andato, e tuttavia desidero ardentemente Dio. Desidero ardentemente amarlo con ogni goccia del mio sangue. La mia mente e il mio cuore sono abitualmente con Dio” (Lettera di Madre Teresa al Cardinale Picachy S.J., 20 ottobre 1960).

I santi vivono sempre con Dio: camminano con lui, viaggiano con lui, operano con lui e per lui, parlano con lui. La loro mente e il loro cuore sono abitualmente con Dio. Isaia scrive: “La mia anima anela a te di notte, al mattino il mio spirito ti cerca” (Is 26,9). L’anima dei santi anela a Dio e, come spunta il mattino, aspettano la sua venuta. 

Secondo S. Agostino, il cuore della vera preghiera è il desiderio ardente del cuore umano per Dio, l’insaziabile “nostalgia” di Dio. Senza un profondo desiderio non c’è vera preghiera, anche se si sta in chiesa molte ore e si recitano molte preghiere vocali. “Il desiderio è sempre preghiera, anche se la lingua tace. Se il desiderio è costante, si è in costante preghiera. Quando si addormenta la preghiera? Quando si raffredda il desiderio” (S. Agostino, Sermone 80, 7).

“Se c’è un costante desiderio, con la fede, la speranza e l’amore siamo sempre in preghiera. In particolari ore e momenti ci rivolgiamo a Dio anche con le parole, perché questi segni verbali ci spingono a sforzi maggiori e ci aiutano a renderci conto dei progressi fatti in questo desiderio, e ci portano a crescere in esso con maggiore vitalità. Perciò in certe ore ritorniamo alla preghiera, ritirandoci da quelle occupazioni e preoccupazioni, che in un certo modo oscurano il desiderio ardente” (S. Agostino, Lettera 130, 9, 18). In ogni forma di preghiera ci dovrebbe essere vera armonia tra parola e cuore.

Questo desiderio ardente, che S. Agostino chiama desiderio naturale, è comune a tutti i santi, e deve essere il denominatore comune di tutti quelli che aspirano alla santità. Come posso essere perfetto, misericordioso e santo com’è perfetto, misericordioso e santo il nostro Padre celeste, se non lo desidero ardentemente, come hanno fatto i santi? Gli amici di Dio diventano amici dei santi, e amano e si prendono cura di tutti quelli che Dio ama e se ne prende cura. Sanno che il loro dinamismo interiore, il motore e la forza che li spinge vengono dal Signore, che vogliono proclamare con le parole e con l’esempio. Nessuno può diventare santo senza questo ardente desiderio. Con le parole della Santa Teresa di Calcutta: “Io voglio, con l’aiuto di Dio, essere santo”.

Desiderio ardente di santità. Non si può diventare santi senza questo forte e profondo desiderio ardente. Tutti sono chiamati ad essere perfetti come è perfetto il nostro Padre celeste, ma nessuno diventerà santo e perfetto in modo automatico. Questo desiderio interiore di santità corrisponde al desiderio di diventare simili a Dio nella sua santità. Dio vuole che manifestiamo la sua santità con la vita e le opere.

Il vero desiderio ardente si trova nel cuore di Dio che ha sete di ogni anima, creata a sua immagine e somiglianza. Dio crea in ogni persona una sete e un desiderio di Lui. Prendiamo l’esempio del magnete e del ferro. Il magnete ha il potere di attirare il ferro e il ferro ha la capacità di essere attirato dal magnete. Dio è il magnete che ci attira a lui e noi siamo i pezzi di ferro attirati verso di Lui. La nostra capacità di essere attirati è la sete, l’anelito, il desiderio ardente di Dio. La capacità di essere attirati non è passiva ma dinamica. Dio ha sete, perché è innamorato di ogni essere umano e crea in ciascuno di noi la stessa sete di Dio e delle anime, purché rimaniamo in contatto con Gesù. Gesù vuole soffrire per le anime in noi, perché non può più soffrire da solo, senza di noi. “Bramo di essere tutta per Dio”, scrive Santa Teresa di Calcutta,“di essere così santa che Gesù possa vivere la sua vita in me completamente…Voglio amarlo come non è mai stato amato…Non sapevo che l’amore può far soffrire così tanto”.

Conclusione. In questo breve itinerario, ci siamo resi conto che la parola “santo” ha significati profondi. Più si comprende la bellezza sublime della santità, che è partecipazione della santità di Dio, più si apprezza e si cerca di vivere meglio. Non fa meraviglia che Gesù, nella parabola del mercante e della perla preziosa, insegni: “Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra” (Mt 13,45-46).

Nella creazione di Dio, solo gli esseri umani possono diventare più buoni e più santi. Persino gli angeli rimangono come sono. Finché siamo nel mondo, possiamo crescere in santità e rassomigliare più da vicino e più perfettamente al nostro Creatore. 

“Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2).

Dio vi benedica.

P.Sebastian Vazhakala M.C.