4. L’EUCARISTIA, S. TERESA DI CALCUTTA E I POVERI

Si può affermare che la santa Eucaristia è la vita della Chiesa. In essa è contenuta tutta la ricchezza della Chiesa, perché l’Eucaristia è la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana. Non meraviglia quindi che San Giovanni Paolo II abbia proclamato un anno dell’Eucaristia, dall’ottobre 2004 all’ottobre 2005. Siamo invitati a contemplare il grande mistero dell’Eucaristia e a vivere, per quanto possibile, una vita eucaristica. Si può, infatti, affermare che la vera vita cristiana è una vita eucaristica.

La santa Messa e la Comunione non si possono separare dalla vita del cristiano. I frutti che ne derivano dipendono dalla nostra preparazione e partecipazione alla santa Messa. Molti santi trascorrevano tanta parte della giornata nel ringraziamento per la Messa e la Comunione, e un’altra parte nella preparazione. Nella sacrestia delle cappelle dei Missionari della Carità si nota un cartello che ricorda ad ogni sacerdote di celebrare la santa Messa con devozione, contemplazione ed entusiasmo. Si legge: 

Sacerdote di Dio,

celebra questa santa Messa come fosse 

la tua prima Messa,

la tua unica Messa e 

la tua ultima Messa”

Naturalmente queste parole si riferiscono sia al celebrante sia a chi partecipa alla Messa.

Via della purificazione. La celebrazione della santa Messa si divide in tre parti: la prima è un breve rito penitenziale, il cui scopo è quello di preparare e disporre sia il celebrante sia i partecipanti all’ascolto della Parola di Dio e a ricevere l’Eucaristia in modo degno. I frutti della santa Messa dipendono dalla nostra disposizione interiore, se siamo preparati a ricevere grandi grazie. Si può paragonare il breve rito penitenziale alla “via della purificazione” all’inizio della nostra vita spirituale. Esso dipende molto dai nostri sforzi, dalla nostra generosità e buona volontà, soprattutto dalla nostra collaborazione con la grazia di Dio. E’ sempre congiunto al dolore, perché comporta il sacrificio della nostra volontà alla volontà di Dio. Questo rito, che si ripete e si rinnova ad ogni celebrazione della santa Messa, ci prepara al passo successivo che si chiama “via dell’illuminazione”, che nella santa Messa corrisponde alla Liturgia della Parola.

Nessun seminatore semina se il campo non è pulito e debitamente preparato. Il seminatore sa che sarebbe semplicemente una perdita di tempo seminare in un campo che non è stato arato, ripulito e concimato. Lo stesso principio si applica ad ogni celebrante e ad ogni partecipante alla Messa, specialmente per la Parola di Dio, seminata nel nostro cuore ad ogni celebrazione.

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2. IL TRENO DEI MISSIONARI DELLA CARITÀ

La notte di martedì, 10 settembre 1946, S. Teresa di Calcutta stava viaggiando in treno verso il paese montagnoso di Darjeeling, nella catena dell’imponente Himalaya.

Si stava allontanando dall’affollata, rumorosa e caotica città di Calcutta, per ritirarsi nel silenzio della contemplazione, perché sapeva bene che la chiamata alla santità è accolta e può essere coltivata solo nel silenzio della contemplazione. Non sapeva e non si rendeva conto che la folla dalla quale cercava di allontanarsi la seguiva.

I suoi occhi erano chiusi, la mente era tranquilla, il treno stava correndo nella notte, quando, senza alcun preavviso, le apparve una grande folla: corpi consumati, divorati dai vermi; bambini abbandonati, orfani, non amati e trascurati; lebbrosi dai volti sfigurati, con piedi e membra monchi. Le mani tese verso di lei, parlavano a bassa voce ma con fermezza, senza lamentarsi: 

“Vieni, vieni, salvaci. Portaci da Gesù”. Siamo abbandonati, pecore senza pastore e senza guida; abbiamo bisogno di una guida, di qualcuno che ci aiuti, di un Salvatore!

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50 anni nelle periferie

 

Padre Sebastian Vazhakala, superiore generale dei Missionari della Carità Contemplativi, per i 25 anni della fondazione di “Casa Serena”, l’ostello per i poveri voluto insieme a Madre Teresa di Calcutta nei pressi di Largo Preneste a Roma, e per i suoi cinquant’anni di sacerdozio al servizio degli ultimi.

1. INTERVISTA CON P. SEBASTIAN VAZHAKALA M.C. (RADIO VATICANA)

“La Chiesa, la sposa di Cristo, la Chiesa nostra Madre. Noi diamo gloria a Dio attraverso la Chiesa e nella Chiesa, con la fedeltà al dono che la Chiesa ci ha affidato: il dono di averci accettato, di aver accettato le nostre mani per servire e il nostro cuore per amare.

Dobbiamo sforzarci di non arrecare sofferenze alla Chiesa con i nostri peccati e i nostri egoismi, perché altrimenti offenderemo lo stesso Corpo di Cristo che si identifica con la Chiesa, formata dall’insieme di tutti noi, suoi fedeli. Veramente accoglieremo il Papa come nostro Padre se ciascuno di noi si sforzerà di rimanere fedele alla vocazione con la quale è chiamato a vivere la propria fede. La forza della testimonianza con cui il Santo Padre cerca di spronarci a vivere coerentemente ci aiuti ad amare e a servire la Chiesa con cuore sincero” (S. Teresa di Calcutta).

  1. Come si sente quando legge le parole di Santa Madre Teresa M.C.?

Mi sento a mio agio, perché ho l’opportunità di rivivere tanti gioiosi eventi del passato e di sentire sempre più vicina la maternità che la Madre ha avuto per noi. Dalle sue parole trapela quella convinzione che viene dritta dal cuore e dall’esperienza della vita. Quando S. Teresa di Calcutta incontrava una persona bisognosa non si domandava che cosa potevano o non potevano fare gli altri, ma si impegnava personalmente, facendo semplicemente ciò che poteva, e quando non era in grado di intervenire, cercava qualcuno che poteva arrivare dove non le era possibile arrivare di persona. Voleva che nessuno si sentisse indesiderato, non amato o solo; si prendeva immediatamente cura di chiunque fosse nel bisogno, senza rimandare al domani o pensare  al passato.

p.Sebastian VAZHAKALA
p.Sebastian VAZHAKALA
  1. Lei è stato il Co-fondatore con Santa Teresa di Calcutta della Congregazione dei Missionari della Carità Contemplativi. Può dirci qualcosa della Congregazione?

Gesù, il nostro Divino Maestro, ha voluto che il ramo dei Missionari della Carità Contemplativi lo amasse e lo servisse nelle sembianze dei più poveri tra i poveri, nella lode gioiosa, in ringraziamento e in riparazione, attraverso la preghiera, la penitenza e le opere di misericordia corporali e spirituali, così da poter cercare di estinguere la sete di Gesù sulla croce di amore e di anime. Poiché “il Padre nostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo dì questi piccoli” (Mt 18:14), Gesù ci manda in cerca delle pecorelle smarrite per portarle al pentimento. Gesù desidera che andiamo ad istruire gli ignoranti e a consigliare i dubbiosi. Tante sono le persone afflitte e da consolare e che attendono il nostro aiuto. Ci sorprende che sopportare pazientemente le persone moleste e perdonare le offese siano anch’esse opere di misericordia, come il pregare per i vivi e per i morti.

Alla sera della vita, quando appariremo davanti a Dio, saremo giudicati proprio sulle opere di misericordia; ed ascolteremo Gesù che ci dirà:

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7. IL “CARISMA DI MADRE TERESA”, LA VIA ALL’ETERNITÀ E IL VISTO PER ENTRARE IN PARADISO

“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49)

Il “Carisma di Madre Teresa” è un patrimonio inesauribile non solo per la famiglia dei Missionari della Carità, ma anche per tutte le persone di buona volontà di ogni religione, nazionalità, casta e colore. Il carisma dei Missionari della Carità deve continuare a diffondersi.

Il “Carisma di Madre Teresa” è in qualche modo parte della nostra vita quotidiana. E’ la via della pace e della gioia, è la via all’eternità, il visto per entrare in Paradiso, allena le persone per il Paradiso, per udire le parole di Gesù: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo…” (cfr. Mt 25,31-46).

Il “Carisma di Madre Teresa” ha la fede come fondamento, la speranza come forza motrice e la carità come scopo. Si fonda su una fede profonda e incrollabile, perché S. Teresa di Calcutta era convinta fin dall’inizio che la sua opera con i poveri era l’opera di Dio e che qualsiasi cosa facesse per qualcuno di loro lo faceva a Gesù. Si fonda sulla fede, perché S. Teresa M.C. dava da mangiare a Dio negli affamati, dissetava Dio negli assetati, lo vestiva di dignità negli ignudi, lo accoglieva nei senzatetto, lo visitava negli ammalati, negli anziani e nelle persone sole, nei lebbrosi, negli ammalati di AIDS e lo consolava in ogni genere di carcerati. 

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6. SETE ARDENTE DI DIO, SETE ARDENTE DI SANTITÀ

Un venerdì mattina, in una Cappella di San Paolo, in Brasile, mentre ero in adorazione davanti al Santissimo Sacramento, la parola “santo” continuava a venirmi in mente. Non capivo che cosa stesse succedendo e che cosa fare, sebbene il Signore avesse messo nel mio cuore il desiderio di diventare santo da quando risalgono i miei ricordi, attraverso la mia amata madre, che anche voleva essere santa. So anche che ne sono ancora molto lontano, come chi vuole raggiungere la vetta del Monte Everest e si trova ancora alla base. Non potevo in ogni modo ignorare la realtà e così cominciai a riflettere sulla parola HOLY (SANTO) e a considerare che cosa potevano significare le quattro lettere di quella parola.

H – Humility (Umiltà)

Umiltà – Mi resi conto che, se voglio essere santo, devo cominciare dall’umiltà. Esaminai attentamente la vita dei santi che conoscevo e non ne trovai nessuno che fosse stato orgoglioso. Ciò che invece li rese santi fu che credettero e furono convinti che senza Dio non potevano diventare santi, non potevano compiere l’opera di Dio e vivere una vita di santità.

Cos’è l’umiltà? La parola “humus” in latino significa terreno, terra. La spiegazione di S. Tommaso d’Aquino sull’umiltà è importante. Egli afferma che l’umiltà è credere che tutto ciò che è buono in me viene da Dio. Ciò comprende anche il luogo di nascita, perché non l’ho scelto, ma me lo ha donato il buon Dio. Non ho scelto i miei genitori, ma sono un dono di Dio. Dovrei quindi ringraziare Dio e pregare per loro più assiduamente e ferventemente soprattutto se non sono in buoni rapporti con loro. A poco a poco mi rendo conto che tutto e tutti sono doni di Dio e devo diventare sempre più grato a Dio.

Dobbiamo riconoscere che tutti i talenti che abbiamo, come pure l’educazione che abbiamo ricevuto, sono tutti doni di Dio e devono essere usati per gli altri ed essere condivisi. L’umiltà non vuol dire negare la verità, ma rendere manifesta la santità di Dio attraverso i doni ricevuti.

Santa Teresa di Calcutta soleva affermare che è facile capire la grandezza di Dio, ma è più difficile capire l’umiltà di Dio. Come poté un Dio, che è impenetrabile, diventare uomo, nascere da donna, nascere sotto la legge della natura e accettare tutte le vicissitudini di questa vita terrena? Arrivò persino a dirci di imparare da Lui, che è mite e umile di cuore (cfr Mt 11,30).

San Tommaso d’Aquino afferma che l’umiltà si fonda su due pilastri: la verità e la giustizia. La verità, dice, è riconoscere che tutto ciò che è buono in noi viene da Dio; la giustizia significa quindi dare tutto l’onore e la gloria a Dio. Significa dare a Cesare ciò che appartiene a Cesare e dare a Dio ciò che è di Dio; in altre parole tutta la gloria e l’onore appartengono a Dio. Santa Teresa di Calcutta ne è un esempio: nulla le fece credere che i molti riconoscimenti e dottorati “ad honorem”, che ammontano a settecento, erano dovuti alle sue abilità, alla sua intelligenza e capacità, al suo potere. Era ben consapevole che era Lui e non lei, che gli attestati erano di Dio e non suoi. Tutto l’onore e la gloria andavano a Dio, compreso l’importante premio Nobel per la Pace del 10 dicembre 1979. Accettava inoltre tutti i riconoscimenti e gli onori nel nome dei poveri, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

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